CHI REGALA UN SORRISO AD UN BAMBINO VEDE IL SOLE STRACCIARE LE NUVOLE

Sinceramente

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Nel campo educativo ci stiamo facendo bypassare da tutti i paesi europei a causa del progressivo disimpegno dello Stato sia da un punto di vista economico, e quindi relativo alle risorse, che da un punto di vista politico amministrativo che incombe sulle scelte di orientamento e di campo (accenno al finanziamento alle scuole private? al rutilante cambio di paradigmi e prospettive?…).

Stiamo quindi perdendo un grande vantaggio accumulato dalle scelte veramente futuristiche degli anni ’70, scelte che ci consentono di sopravvivere, ancora pagano e fanno la differenza se pensiamo per esempio all’inclusione (quasi nessun altro paese accetta classi eterogenee come le nostre, molti selezionano i bambini, alcuni provvedono ad istituire classi speciali…).

Ma se parliamo di didattica dobbiamo tirare fuori i fazzoletti…

Circle time, cooperative learning, thinkering, action maze, circle time, debriefing, debate, jigsaw, peer education, service learning, storytelling, spaced learning, tinkering, tutoring,peer to peer, flipped classroom, learning by doing… terminologie aglofone, etichette che americanizzano la pedagogia attiva di matrice europea (ricordo solo Lodi, Freinet, Montessori e MCE), una pedagogia efficace che ci appartiene da sempre ma che ci ricordiamo a fatica soprattutto quando ci facciamo lisciare le penne dalla didattica trasmissiva e addestrativa dei tempi cupi.

In Europa invece la prendono sul serio e ci costruiscono l’eccellenza abbinandoci risorse ed investimenti: in molti paesi c’è lo strano convincimento che una scuola efficace ed efficiente produca una società migliore (paesi nordici in prima fila)!

Se ne è accorta perfino Confindustria che porta nelle scuole progetti tesi a sviluppare soft skill perché le ritiene necessarie anche nel mondo del lavoro: capacità di innovare, ricercare, mettere in condivisione e cooperare mentre la scuola intenderebbe ritornare all’insegnamento individualistico e competitivo fine a sé stesso.

Solo le metodologie attive in classi cooperative riescono a mettere in evidenza e ad alimentare abilità e competenze del genere mentre le semplici conoscenze probabilmente verranno messe all’oblio meccanicizzate dalle macchine pensanti (per le conoscenze più complesse, di secondo e terzo livello abbiamo bisogno di competenze).

Sarà forse per questa strana nostalgia canaglia di alcuni verso i tempi del libro e moschetto che qualcuno sente il bisogno di tornare al calamaio e alla penna d’oca marginalizzando una scuola fatta di ricerca ed innovazione, senza tenere conto dei guasti degli ultimi anni, dei risultati preoccupanti di tutte le indagini sullo stato della scuola.

Oppure è il superficialismo imperante che evita di osservare, di preoccuparsi dei processi di sviluppo in atto. Per esempio laddove la riforma della valutazione è stata messa a dimora correttamente tutte le parti in causa si dicono soddisfatte: genitori, insegnanti, alunni… I dati che abbiamo a disposizione sono inoppugnabili. Perché non occuparsene?

O forse è solo un principio di quel sadico cinismo che vuole vedere i giovani torturati dalla scuola; è una sorta di mal comune mezzo gaudio?

E poi c’è la cattiva politica che gode quando può metastasizzare la società esercitando il potere con arroganza: la scuola ha bisogno di lavorare con le proprie competenze professionali, mettendo assieme l’avanguardia accademica, la ricerca sul campo per affinare le migliori strategie che consentano ai nostri ragazzi di crescere in modo armonico e consapevole.

Non ha bisogno di continui ribaltoni politici, di spoiled system continui, di ministri che stravolgono continuamente il piano di lavoro, complicando non poco il lavoro di tanti insegnanti appassionati.

Sinceramente.

Una situazione prova di buonsenso, senza senso.

Liberiamoci.

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