CHI REGALA UN SORRISO AD UN BAMBINO VEDE IL SOLE STRACCIARE LE NUVOLE

L’importanza della valutazione formativa come chiave di volta per una metodologia cooperativa e una didattica euristica

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(Oltre il muro del voto per un apprendimento significativo)

Introduzione

Un certo tipo di scuola vive sporadicamente affrancata alla realtà, sopravvive a sé stessa ripetendo didattiche stereotipate e disconnesse, lontane dagli interessi dei ragazzi e pragmaticamente inutili al mondo del lavoro, diciamo che non ci pare un’istituzione che riveste i crismi dell’indispensabilità quando si manifesta come un esercizio di sofferenza e sforzo, provocando malessere nei nostri ragazzi il più delle volte senza sortire alcuna utilità.

Lo stesso ruolo del docente, se privato della possibilità di esprimere la propria competente professionalità rimane relegato al ruolo di esecutore di pratiche addestrative, risulta essere marginalizzato tanto che una facile la previsione lo vede tra breve tempo sostituito da sistemi mediali più fruibili e versatili quali l’intelligenza artificiale o da applicazioni come il metaverso.

Niente di nuovo sotto il sole, ma… i tempi possono considerarsi maturi per un deciso cambiamento di rotta, in tempo utile, per evitare… l’insolazione.

La scuola tradizionale è inutile, il voto una sua convulsione, compulsione

Il periodo pandemico ha messo in luce tutte le problematiche di una scuola in decadenza divenuta asfittica dopo il “taglio” aziendalistico impresso dalle riforme dei governi di centrodestra che nella primaria hanno smembrato il fortunato impianto modulare mentre nella secondaria di secondo grado hanno decurtato le ore pratiche negli istituti tecnici e professionali, l’assist glielo avevano dato per par condicio i governi di centrosinistra precedenti quando avevano promosso un’Autonomia claudicante sin dal principio.

L’esito complessivo di queste riforme è sotto gli occhi di tutti, la didattica scarnificata di pedagogia e la metodologia prevalentemente esecutiva nel tempo hanno modificato gli approcci della docenza: l’insegnante ha smesso i panni del ricercatore/sperimentatore per consegnarsi ad un approccio comportamentista: un “addestrato addestratore” che pratica metodi e guide didattiche cercando di domare le nozioni impartite utilizzando le verifiche come fruste sugli alunni.

Il disagio che i ragazzi di oggi provano a scuola è pari a quello dei docenti sviliti nel ruolo di impiegati, soffocati di burocrazia mentre i genitori risultano abbandonati nell’affrontare le problematiche di crescita dei ragazzi:

Uno dei fattori che influisce più negativamente è il VOTO, una pratica che “nuoce gravemente alla salute” della scuola perché presuppone un modello di scuola trasmissiva, cattedratica e autoreferenziale che non accoglie l’esigenza di crescita, comunicazione, condivisione, confronto ed emancipazione ma emargina gli allievi nel momento del bisogno, acuendone le difficoltà e mortificandone l’autostima…

Il voto è il FINE, la finalità e la conclusione di una didattica a compartimenti “stagnanti”, per il docente diviene un’ossessione, il soggetto di una didattica che utilizza test e verifiche per compartimentare la conoscenza; il sistema incarnato nella valutazione numerica propone un sapere disciplinarizzato, sequenzializzato (generalmente dal semplice al complesso), comunicato in modo unidirezionale e pensato individualmente.

Il numero, metronomo della misurazione/quantificazione, ha una essenzialità che potrebbe eventualmente risultare utile nella valutazione certificativa ma è assolutamente improprio e inadatto nella valutazione in itinere non restituendo informazioni adeguate alla regolazione della didattica e mettendo in secondo piano tutte le altre rilevazioni, soprattutto quelle informali, che sono uno spunto indispensabile per la conoscenza profonda e strutturata.

Concentrandosi solo sul risultato della prestazione, la didattica non tiene conto del processi di apprendimento, degli errori e delle opportunità di crescita, va da sé che si proceda come i cavalli al trotto, purtroppo con i paraocchi: spesso chi ha delle difficoltà viene percepito come un fastidio, un intralcio e lasciato alla deriva soprattutto se i genitori non riescono a sostenere il galoppo (magari con qualche frustata).

L’individualizzazione risultante (“una stima che inibisce l’autostima”) porta alla competizione “contro” e regala dimensioni anaffettive e respingenti; il giudicare, e il sentirsi giudicati senza soluzione di continuità, impediscono un rapporto biunivoco ed empatico pregiudicando l’”agganciamento emotivo” e deresponsabilizzando il docente di fronte ai fattori di insuccesso; di fatto inibisce la competenza.

Qualche volta addirittura viene usato impropriamente come strumento di potere da docenti con pretese autoritarie per imporre il controllo sulla classe (con risultati rivedibili), docenti che credono di avere il coltello dalla parte del manico quando invece stringono una lama.

Eliminare il voto non significa eliminare la valutazione ma cambiare il modo di fare scuola

Spesso si tende a confondere il voto con la valutazione o a pensare che senza voto non si possano monitorare gli apprendimenti dei nostri ragazzi, niente di più sbagliato secondo le teorie ​pedagogiche del Novecento e le recenti incursioni delle neuroscienze sul tema: abbiamo differenti forme di valutazione, espressione di metodologie contrastanti, di modi di concepire l’insegnamento concettualmente differenti.

La scuola addestrativa impone criteri selettivi docimologici e si realizza con rigore disciplinaristico attraverso la presunzione di oggettività, la valutazione sommativa che ne arma il processo incarna una scuola che si ripete in modo abitudinario, acriticamente fedele a sé stessa, incentrata sulle nozioni e regolata da un meccanismo di premialità (che si traveste da merito) che non restituisce la misura della competenza ma un’istantanea di protoapprendimenti (di livello basilare) che perdono di significatività e di senso motivando in modo estrinseco e utilitaristico.

In un quadro europeo in cui ci si confronta con un modello che presuppone un percorso di crescita competente costruito su deuteroapprendimenti (di secondo e terzo livello), è ovvio che la valutazione sommativa venga marginalizzata al cospetto di una diversificazione degli strumenti di valutazione, delle evidenze monitorate in contesti armonici, sintonici e cooperativi a sostegno nello sviluppo del soggetto in un contesto di comunità educante.

La valutazione efficace nelle sue varie declinazioni e sfumature: descrittiva, autentica, formativa, formatrice, formante, dialogica… vuole essere il volano dei processi di apprendimento, un compagno di crescita che cura i dettagli e accompagna l’emergere del talento e della competenza di una metodologia EURISTICA capace di riflettere, condividere, analizzare e studiare, in formazione continua e permanente.

La vera valutazione può mettersi al servizio dei processi complessi (Assessment for learning/ as Learning, Evaluation) e guidare la formazione con finalità emancipatrici promuovendo l’autonomia: la vera sfida è rendere i ragazzi consapevoli della propria situazione attraverso le forme di valutazione più strutturate, sincere e significative (autovalutazione e covalutazione) e quindi competenti.

Cambiare lo sguardo presuppone uno sforzo per gli insegnanti che nel contesto attuale soffrono i contrasti e le incongruenze con ma restano sordi rispetto alle richieste di famiglie, ragazzi e mondo del lavoro, al contrario sono sempre più le scuole in ascolto che coraggiosamente si avvicinano a didattiche formatrici ed emancipatrici tese a promuovere la persona nella sua interezza con i suoi talenti e specificità, non nascondiamo che il compito sia più difficile e che necessiti di studio, formazione, passione… ma oltre ad essere davvero utile e anche più gratificante (non solo per noi).

Da un punto di vista normativo la rivoluzione copernicana rispetto alla valutazione è sancita dall’Ordinanza 172 che ha fatto seguito a diverse proposte di riforma della scuola a partire dalla primaria, un tentativo coraggioso di cambiare la prospettiva, una rivoluzione metodologica che affonda le proprie radici nella grande pedagogia popolare fiorita nel dopoguerra con la forza riformatrice di Freinet, MCE, Montessori…

Diciamo allora che, metodologicamente, la valutazione è la chiave di volta perché impone delle scelte, un quadro ben definito la cui cornice è selezionare oppure orientare, ammaestrare o formare, istruire o formare; anche gli strumenti che usiamo per valutare non sono neutri e rientrano nel quadro appena accennato: pensate alla differenza tra un test a crocette ed un tema libero, un numero che rendiconta gli errori piuttosto che ad una autovalutazione. 

Porci in una modalità euristica ci libera dalle didattiche predefinite/preconfezionate (da manuale), focalizzate solo su errori o amnesie, la sfida che ci poniamo è quindi di proporre… sfide problematizzanti legate agli interessi e alle curiosità degli allievi in modo da stimolarne la capacità critica e creativa con coinvolgente entusiasmo.

Azzardiamo in conclusione il pensiero che due forme sostengono ci impongano una scelta (da che parte stare?): sofisti o socratici? Comportamentisti o cognitivisti? Individualizzanti o Cooperativi? Dispotici o democratici?

Io ho scelto: educazione, crescita assistita, formazione, competenza che passano attraverso una metodologia attiva e prescinde dalla mera selezione operata dalla scuola nozionistica. 

Falsi miti e luoghi comuni da sfatare sulla didattica cooperativa

La didattica cooperativa è un approccio educativo che si piega alla vita e ai bisogni di chi vuole crescere per questo promuove la collaborazione e l’interazione tra gli studenti, mettendo l’accento sull’apprendimento significativo e sulla partecipazione attiva di tutti i membri del gruppo.

Nonostante i numerosi benefici comprovati dalle buone pratiche realizzate, esistono ancora luoghi comuni che la bullizzano, falsi miti da stanare e sfatare per fornirne una visione più chiara e accurata.

Uno degli assiomi è che “una didattica del genere crea CLASSI CONFUSIONARIE ED INDISCIPLINATE, senza regole”.

Adottare un sistema di regole condivise, consente di promuovere l’autoregolazione del comportamento sociale sviluppando al contempo unità e coesione del gruppo, principi che lavorano sul NOI e non cercando, con un enorme sforzo di controllo, di addomesticare l’IO.

Un altro falso mito vorrebbe la “didattica cooperativa adatta solo gli studenti più brillanti”, che “funzioni” solo per i più intelligenti, autonomi o dotati; tuttavia, la realtà è che la cooperazione tra gli studenti è vantaggiosa per tutti quando è costruita con i presupposti del mentoraggio: in un orizzonte ipercompetitivo il reciproco aiuto emerge come una pratica indispensabile sia per lo sviluppo personale che nella gestione della classe cooperativa, con benefici autoregolativi, non solo di coesione ma anche di gestione dei conflitti (non è un caso che anche le aziende lungimiranti cerchino di sviluppare il team buildings).

In effetti costruire gruppi che lavorano in un ambiente sicuro e stimolante, sinergicamente tra pari, instaura relazioni biunivoche che risultano reciprocamente estremamente vantaggiose: i mentee possono acquisire nuove competenze, affinare quelle esistenti e ottenere una prospettiva diversa nelle sfide che affrontano sfruttando la possibilità di apprendere dalle esperienze/abilità/conoscenze condivise mentre i mentori lavorano metacognitivamente la loro esperienza e quindi riescono ad ottenere conoscenze di livello superiore che consentono feedback costruttivi e  sviluppano competenze trasversali come leadership e sostegno emotivo (l’incoraggiamento ha un impatto significativo sulla motivazione e sull’autostima, benzina indispensabile per un motore quando deve affrontare una ripida salita).

Possiamo concludere che solo attraverso la condivisione delle diverse abilità e dei talenti all’interno di un gruppo si possono avere le risorse per crescere armoniosamente e che l’eccellenza è raggiungibile sono attraverso un lavoro collegiale, coinvolgente e sinergico.

La didattica cooperativa richiede TROPPO TEMPO, è una PERDITA DI TEMPO”, un’altra falsa convinzione è che l’implementazione della didattica cooperativa richieda un tempo impossibile da gestire nella cadenzata suddivisione degli impegni della classe, impedendo il programma di studio previsto. Ma la rutilante standardizzazione del tempo non è altro che uno svuotamento del concetto (si parla del tempo perso e non di quello goduto).

È chiaro che per strutturazione la competenza richieda un tempo lungo di sviluppo (soprattutto se vogliamo alimentare le competenze trasversali), questo non significa che sia un tempo perso o insignificante stante la sua prescrittività in funzione dell’Agenda 2030, piuttosto se gli impegni risultassero eccessivi bisognerebbe ripensare alle priorità, eliminando le incombenze soprattutto quando burocratiche.

È anche vero che la didattica cooperativa, indispensabile per lo sviluppo delle competenze, se ben pianificata e strutturata, può essere integrata efficacemente nel curriculum esistente senza richiedere un aumento significativo del tempo grazie all’adozione del “Piano di lavoro” (Celestin Freinet), inoltre l’investimento di tempo nella cooperazione può portare a un apprendimento più profondo e significativo, riducendo la necessità di ripetere concetti in modo individuale e ripetitivo.

È paradossale che una delle critiche sia anche che “si fanno troppi pochi compiti”, intesi come mole di lavoro opprimente e obbligatoria, non ci sono attinenze con la modalità del lavoro in classe (si possono assegnare compiti anche lavorando in modo cooperativo) ma mi sento di scrivere che spesso l’obbligatorietà non favorisce né la disciplina, intesa come rigore nell’affrontare il proprio lavoro, né l’efficacia ma spesso frustra le famiglie aggiogandole alle meccaniche proprie della token economy o della pedagogia bancaria, preferisco suggerire ai ragazzi possibili approfondimenti rendendomi disponibile nella restituzione e lasciando spazio ai loro lavori: se le giuste dinamiche sono connesse e si sono creati i giusti presupposti (tutti i lavori fatti dagli allievi vanno guardati con cura ed attenzione), i ragazzi si sottopongono ad un lavoro molto più produttivo e proficuo spontaneamente e in modo creativo. 

Questo tipo di didattica non prepara gli studenti per il mondo reale, alle delusioni che dovranno affrontare” come fosse necessario per crescere abbeverarsi quotidianamente di piccole dosi di veleno per divenirne immuni, un paradosso sconfessato dalle teorie neuroscientifiche e che impedisce di godere con sana passione per il proprio lavoro di studente, che si debba necessariamente soffrire e per di più in modo solitario. 

L’idea sbagliata che questo tipo di didattica non rifletta la realtà del mondo esterno, in cui spesso dobbiamo lavorare individualmente, contrasta con le reali esigenze che generalmente tendono a creare ambienti di lavoro positivi, creativi, empatici; la realtà è che il lavoro di squadra e la collaborazione sono competenze essenziali, le abilità di comunicazione, collaborazione, negoziazione e risoluzione dei problemi sono fondamentali per il successo nella vita adulta e nella carriera professionale; per riuscire ad uscire dalla dimensione alienante ed anaffettiva è necessario sviluppare delle competenze sociali propositive ed attive, non è possibile farlo utilizzando sistemi meramente addestrativi.

Una didattica cooperativa nasconde le difficoltà individuali e scoraggia la competizione”.

La scuola addestrativa confonde la competenza con la competizione, rendendola insana.

La richiesta di aiuto che l’allievo mette in opera quando si percepisce in difficoltà, è una competenza di per sé, è la capacità di mettersi in discussione che rivela consapevolezza e non è una diminutio, semmai casomai una risorsa davvero necessaria; accettare l’aiuto e porsi in ascolto lo sono allo stesso modo: sono porte aperte all’esperienza positiva dell’altro.

Dobbiamo anche considerare che la competizione più frequente è quella relativa ai gruppi di lavoro, la scuola quindi dovrebbe porre situazioni sfidanti a gruppi di lavoro focalizzati su obiettivi comuni e incoraggiati a migliorare le proprie prestazioni individuali mettendole al servizio di uno scopo comune. In conclusione, i falsi miti e i luoghi comuni sulla didattica cooperativa spesso si basano su una comprensione superficiale o errata di questa metodologia, ho provato a promuovere una visione più accurata e per incoraggiare l’adozione di buone pratiche che favoriscano il coinvolgimento e il successo di tutti gli studenti.

Quali strumenti sono utili ad una didattica in funzione formativa

Il connubio misurazione/valutazione per associazione mi spinge a ribadire che spesso a scuola si decontestualizzano i contenuti presentandoli come compiti routinari, formulari che inducono percorsi obbligati, suggerendo un’astrazione acritica e standardizzata, anaffettiva ed univoca, è indispensabile uscire da questo panorama che applica acriticamente i metodi proposti dalle case editrici impigrendo la voglia di approfondire e studiare la migliore didattica (che per definizione è in continua evoluzione).

La scuola che fiorisce dall’Ordinanza ha ritrovato la scintilla, non vogliamo farla avvizzire ostinandoci a travestire di nuovo metodologie superate, occorre quindi mettersi in gioco e porsi obiettivi ambiziosi, rimboccandoci le maniche e mettendoci a studiare modalità che consentano di affrontare le difficili sfide del futuro che ci attendono con competenza e passione.

Prendiamo in considerazione “l’acquisizione delle competenze progressivamente acquisite” con un approccio che “descrive il progressivo sviluppo dei livelli delle competenze chiave e delle competenze di cittadinanza, a cui l’intero processo di insegnamento-apprendimento è mirato, anche sostenendo e orientando le alunne e gli alunni verso la scuola del secondo ciclo di istruzione”, per fare questo è necessaria un’importante progettazione che metta al centro lo sviluppo dei processi cognitivi, disambiguando gli obiettivi di apprendimento per poterne cogliere le evidenze con uno sguardo focalizzato e un orizzonte ampio: dalla scelta in base alla rappresentatività e dalla frequenza al stabilire dei criteri (aspettative attese) di osservazione con tempi congrui per poterne registrarne la dimensione.

La valutazione formativa pone l’accento sull’apprendimento significativo, piuttosto che sulla memorizzazione a breve termine, gli studenti sono incoraggiati a spingersi attraverso la propria zona di sviluppo prossimale sviluppando capacitazioni e mobilitando risorse in modo critico e confacente.

Ripensare la scuola in questo senso ci porta a ragionare sulla restituzione di sfide stimolanti come strumento di miglioramento (del discente e del docente): il feedback.

Continuo, contestuale, mirato… consente di fornire agli studenti un riscontro dettagliato del loro “agito” mettendo in luce gli aspetti positivi e le criticità; uno sforzo teso alla consapevolezza prodromo della competenza.

La documentazione è la chiave di una valutazione competente, rappresenta un momento di partecipazione e condivisione tra professionisti per questo deve distinguersi dall’ oppressione compulsiva della rendicontazione, un processo di valutazione continua che induce il docente a credersi produttivo (mentre viene monitorato costantemente) e non sortisce effetti positivi per gli allievi (che vengono sottoposti ad inutili tornate di test). 

Un elemento fondamentale è la promozione dell’autoregolazione e dell’autovalutazione: gli studenti sono incoraggiati a prendere coscienza delle proprie strategie focalizzando i propri obiettivi personali e monitorando con consapevolezza il proprio progresso, un processo/sistema che li vuole attori protagonisti nel mobilitare abilità e conoscenze per raggiungere i traguardi di competenza.

L’incontro “Pagella fai da te” nel primo incontro “Non sono un voto” ci ha lasciati con l’idea che non ci serva un modello piuttosto sarebbe necessario chiarire che sono necessari momenti di lavoro: progettazione, osservazione e valutazione riescono a realizzare compiutamente la scuola attiva moderna documentando con cura ed attenzione un processo di crescita nella convinzione che solo scardinando l’incancrenita architettura di una scuola selettiva riusciremo a garantire la crescita democratica dei ragazzi e la cultura del nostro Paese.

In conclusione, possiamo affermare che la valutazione formativa contribuisce a promuovere l’equità nell’ambito educativo concentrandosi sulle competenze e sulle capacità degli studenti in un’ottica cooperativa e con una finalità emancipatrice che riduce l’impatto delle disuguaglianze socioeconomiche e culturali: ogni studente ha l’opportunità di progredire e di dimostrare le proprie competenze, indipendentemente dalle circostanze personali, solo nel momento in cui passa dall’IO al NOI.


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