CHI REGALA UN SORRISO AD UN BAMBINO VEDE IL SOLE STRACCIARE LE NUVOLE

Valutare (senza tara)

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Valutare è un’azione che deve tendere a valorizzare e non a mortificare (anche la scuola).

La prestazione e il prodotto ci restituiscono delle informazioni davvero utili? Anche se sono reiterate, per la loro natura, che nell’ambito educativo è chiaramente diversificata e diversa, direi proprio di no. Non sono esaustive, anzi si prestano ad interpretazioni che subiscono gli EFFETTI DISTORSIVI che la letteratura pedagogica ha oramai “tingolato” (effetto alone, pigmalione; stereotipie…), senza la modalità, senza il come, senza le DIMENSIONI le nostre osservazioni sono sterili…

Possiamo affermare con certezza che la VALUTAZIONE al termine dell’apprendimento (VALUTAZIONE SOMMATIVA) è miope rispetto al PROCESSO di CRESCITA, rappresenta il FINE della proposta didattica e conduce l’alunno a studiare per il voto, senza passione per il suo lavoro (vedi il concetto di Pedagogia bancaria di Freire).

Pensiamo alle lezioni a compartimenti stagni che prevedono una verifica/test/interrogazione finale, l’esito della valutazione risente della restituzione non sempre puntuale e diviene sterile, inutile per il discente che deve rimediare, correggersi da solo (con l’aiuto di “ripetizioni”).

La presunta oggettività di questo giudizio nasconde in realtà una deresponsabilizzazione, una mancata partecipazione del docente che eroga nozioni e ne computa la memorizzazione un approccio che possiamo definire ADDESTRATIVO, fine a sé stesso.

La valutazione efficace nelle sue varie declinazioni e sfumature: descrittiva, autentica, formativa, formatrice, formante, dialogica… vuole essere il volano dei processi di apprendimento, un compagno di crescita che cura i dettagli e accompagna l’emergere del talento e della competenza.

Noi pensiamo che la VALUTAZIONE possa mettersi al servizio di questi processi complessi (VALUTAZIONE PER GLI APPRENDIMENTI) e che per guidare la formazione dei nostri allievi ci voglia competenza e professionalità, non è sufficiente eseguire didattiche predefinite/preconfezionate focalizzandosi solo su errori o amnesie.

Non nascondiamo che il compito sia più difficile (e chiede studio, formazione…) ma anche più gratificante ed utile (non solo a noi).

Per una scuola che tende alle competenze abbiamo bisogno di guide competenti: pensare che si possa sintetizzare la valutazione formativa con dei giudizi sintetici legati alla valutazione sommativa (e ad una prestazione) è come sostituire il volante di una Ferrari con un manubrio della bicicletta, alla prima frenata ci troveremo schiantati contro la triste realtà dei fatti!

L’approccio della 172 è multidimensionale, non può essere esplicitato con giudizi che hanno un preciso collocamento non solo docimologico ma anche storico: sono stati usati nel recente passato per ratificare la valutazione sommativa!

Perché allora questo ritorno al passato promosso dalle forze politiche conservatrici di questo paese?

Il primo motivo potrebbe essere legato proprio alla nostalgia, intesa come affascinazione verso il tempo “in cui c’era lui”, verso la scuola del libretto e moschetto, dell’ordine e della disciplina (non è un caso che il progetto di restaurazione sia inserito nell’emendamento del “voto in condotta”).

Non sto neanche a criticare la versione stucchevole della questione, impresentabile al presente: sarebbe come voler conversare grazie ad un gettone telefonico… ma posso comprendere che chi non conosce la scuola, fa i conti con la scuola che ha vissuto, magari da studente o nel passato (spesso remoto o fantasticato).

Quello che faccio fatica a capire è perché a decidere della scuola sia chi la scuola non la conosce, non la vive in modo approfondito e professionale (ma già questo lo sapete).

Chi non ne amministra le complessità tende a ridurne le variabili, una semplificazione anacronistica che situa gli attuali tentativi fuori dal tempo: un viaggio a ritroso che porterà conseguenze purtroppo nefaste e renderà vani gli sforzi di tanti docenti preparati ed appassionati.

Non è un caso che il mondo pedagogico tutto, si sia esposto denunciando la stoltezza dei pronunciamenti dei partiti conservatori del nostro paese: la complessità (con le sue diversità) richiede una metodologia in grado di affrontarla, una didattica differenziata (individualizzata e personalizzata) che non alzi i muri che nascono con un approccio standardizzato e routinario (per approfondire)

Un altro motivo che può aver spinto il decisore politico è il controllo, attraverso delle rendicontazioni puntuali (il voto e il registro elettronico potrebbero prestarsi a questa mansione), si cercherebbe di monitorare l’efficienza del lavoro dei docenti; uno stereotipo mutuato probabilmente da una mentalità aziendalistica di vecchio stile: il caporeparto (Dirigente Scolastico) monitora la produzione attraverso il numero dei prodotti; una standardizzazione che però se ne infischia della qualità, non ha interesse a sondare i processi, ad approfondire.

La bulimia burocratica di cui i docenti soffrono è indotta proprio da un modello di scuola sempre più burocratizzato e routinario che consente sempre meno confronti ed approfondimenti (anche la formazione soffre di questa “patologia”).

L’obiettivo sarebbe quello di discriminare una selezione attraverso il criterio del “merito”.

Questo è forse anche il principio dell’agire politico che intenderebbe dare risalto a chi dimostra delle capacità rispetto alla massa, concetto rispettabile di per sé ma incoerente rispetto a chi lo propone (sono meritevoli i proponenti?); di questo parleremo in un prossimo articolo, l’argomento è interessante…

Premesso che purtroppo sono tanti i paesi che sostengono un’istruzione selettiva in funzione di una classe dirigente selezionata e di una società divisa in caste, ora mi è più urgente battere le dita sulla tastiera pensando alla Costituzione e ponendomi dei quesiti: se non consentiamo ad ognuno di avere le stesse condizioni di partenza come possiamo parlare davvero di merito?

Se sin dalla prima elementare intossichiamo i bambini di competizione e di voti come potremmo avvicinarli alle competenze che richiedono uno scambio e una sinergia collettiva?

In un mondo sempre più globalizzato, in cui le condizioni sono sempre più diversificate, come si può pensare ad una didattica standardizzata (figlia della valutazione sommativa) che non aumenti le differenze?

Ultimo punto: il modello di società che la scuola germina. Una società fatta di competizione senza competenza, individualistica e legata mero al risultato (a qualunque costo) risichia di essere un fardello che non si riesce ad addomesticare con il manganello, l’ordine e la disciplina.

Credo infatti che anche quelle misure approntate dall’ordinanza rispetto alla condotta vadano in senso contrario al buonsenso e che creeranno, come anche per la valutazione, problemi più seri di quelli che pensano di risolvere.

Il binomio società dei consumi/scuola azienda è una commistione molto pericolosa: da un lato abbiamo una società frantumata in individualismi esasperati che non si rispecchia se non in uno schermo, dall’altra si vuole una scuola giudicatrice ed anaffettiva/oggettiva; la sinergia di due agenti patogeni rischia di diventare infettante, se non lo è già.

La scuola delle relazioni, dei processi e della crescita voleva porsi come antidoto innescando dispositivi cooperativi e sociali, che mutuavano le difficoltà piuttosto che mutare l’animo umano.

Il tempo ci dirà chi ha ragione e chi si inventerà delle scuse.

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